Quando apparve per la prima
volta, nel salottino di Porta a Porta, il suo scopritore Silvio
Berlusconi lo presentò come una specie di genio. Come si fa
inaugurando un monumento, levò il velo al capolavoro, quasi
che l'avesse appena creato lui: "Eccolo qui il nostro tecnico!
E' un ingegnere! Si chiama Pietro Lunardi, coordina la squadra
che cura i progetti per le grandi opere. Con lui al governo,
rifaremo l'Italia!". Bruno Vespa rischiò il mancamento. Lui,
Pietro Lunardi, infilandosi nei rari respiri del principale,
riuscì a biascicare qualcosa sulla variante di valico, sul passante
di Mestre e sulla Salerno-Reggio Calabria.
La volta seguente, sempre chez
Vespa, il neopremier Berlusconi era armato di Lunardi e di pennarello,
col quale ricalcava sulla mega-lavagna i tracciati che il neoministro
gli aveva disegnato a matita. Strade, autostrade, ferrovie,
porti, aeroporti, ponti, valichi e soprattutto trafori. Perché
l'ingegner Lunardi, detto anche Nullardi per la sua fondamentale
utilità, è un perforatore indefesso: "Nel sottosuolo - dice
- si incontrano sempre cose nuove, impreviste, straordinarie".
Asfalto e cemento sono la sua passione ("Per me le arterie stradali,
autostradali, ferroviarie sono come quelle del corpo umano:
sapere che quelle dell'Italia sono interrotte non mi dà pace").
Ma non disdegna la saliva: "Il governo è come la Ferrari e Berlusconi
è Schumacher: ha una marcia in più, riesce a trascinare l'intero
Paese". E, fra uno scavatore e una betoniera, non trascura il
trombone: "L'Italia ha perso lo spirito dei grandi costruttori.
Quello spirito che ci ha dato le Piramidi, la Grande Muraglia,
i templi maya".
Per il novello Cheope, la storia
d'Italia si divide in due ère: prima e dopo Berlusconi. Prima
era il buio, regno dei famigerati verdi che han portato l'Italia
"alla paralisi" e provocato "80 mila morti", ergo "andrebbero
incriminati". Invece rischiò di esser incriminato lui, quando
fu aperta un'inchiesta sui danni all'ambiente causati dalle
scorie estratte dai tunnel della Bologna-Firenze progettati
dalla sua azienda: la Rocksoil, una delle più amate dai governi
della prima e della seconda Repubblica. Ma risolse la questione
infilando nel decreto Grandi Opere un codicillo che trasformava
i veleni in essenze profumate: "Le terre e le rocce da scavo
anche di gallerie non costituiscono rifiuti anche quando contaminate
da sostanze inquinanti derivate dall'attività di escavazione,
perforazione e costruzione".
Avvezzo pure lui a scaricare
tutto sui predecessori, dimentica di spiegare dov'era, lui,
nel passato: consigliere del governo Goria, poi dei ministri
Gaspari e Lattanzio, infine progettista della metro di Roma
sotto Rutelli. Controllore e costruttore. Promosso ministro,
qualche maligno ventilò un conflitto d'interessi. Ma lui giurò:
"Cambio mestiere, vendo l'azienda", "Tre fra i migliori avvocati
italiani hanno già pronti due progetti per liquidare in un giorno,
in sole 24 ore, il mio teorico conflitto di interessi". Poi,
come il principale, cambiò idea: "La mia società ha lavorato
in passato e lavorerà in futuro. Non vedo perché mettere sulla
strada cento famiglie". Risolse la cosa elegantemente, cedendo
Rocksoil alla moglie e ai figli. E continuando a "vigilare"
su opere (autostrada in Val Trompia, corridoio Tirreno-Brennero,
Brescia-Padova e Salerno-Reggio) progettate anche da lui.
Naturalmente, per le Grandi Opere, non c'è un euro. Così il
suo piano faraonico resta in gran parte sulla carta. Ma gli
lascia molto tempo libero. Che lui lo impiega parlando molto,
perlopiù a vanvera. "Con la mafia - dice nel 2001 - bisogna
convivere". E pure con Tangentopoli: "Mani Pulite ha criminalizzato
imprese, progettisti, costruttori", basta con le "leggi paralizzanti"
nate "sull'emozione di Tangentopoli". Difende persino Calisto
Tanzi, suo compagno di scuola a Parma, pure lui esperto di buchi.
In compenso, con la patente a punti, tolleranza zero per gli
automobilisti. Ma a giorni alterni. Un giorno vuole alzare i
limiti ai 160 all'ora. Un altro confida a un giornalista che
lui supera i 150. Poi rettifica: "era una battuta ironica".
Che simpatico.
Brucia il tunnel del Monte Bianco?
Nullardi assicura che verrà riaperto entro due mesi (sarà pronto
in tre anni). Il problema dell'acqua? "Risolto ovunque entro
il 2007". Il ponte sullo Stretto? Già fatto: "Messina e Catania
diventeranno una sola città, come Budapest". I soldi? "Sono
l'ultimo dei problemi". Perché "io sono uso alla scienza esatta".
Quanto alla Salerno-Reggio, no problem: tutto finito entro il
2006. Senonché, nel 2005, basta una nevicata per paralizzare
il Sud. Decine di camionisti bloccati per giorni, semiassiderati.
E lui, quasi fosse un passante: "Non dovevano trovarsi lì, con
tutta quella neve. Nulla da rimproverarmi". Un giorno lancia
l'idea di tassare (anzi, "pedaggiare") le strade statali. Poi
si rimangia tutto: "i giornali mistificano". In trasferta a
Laives, in Alto Adige, annuncia: "Qui, fra due anni, apriremo
il casello autostradale". La platea lo guarda esterrefatta:
quale autostrada? Ma Nullardi credeva di essere a Lavis, in
Trentino. Prima o poi, con le dovute cautele, qualcuno lo avvertirà
che il ministro delle Infrastrutture è lui.
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