1. La magistratura è politicizzata, dunque non può
giudicare.
I singoli magistrati possono avere opinioni politiche, come
è garantito dalla Costituzione a ogni cittadino (del
resto, a Berlusconi piacciono magistrati come Tiziana Parenti,
Carlo Nordio, Melchiorre Cirami, Nitto Palma... a cui il suo
schieramento ha offerto posti in Parlamento e ricchi contratti
giornalistici). L'importante è che ogni magistrato, a
prescindere dalle sue opinioni politiche, giudichi poi i FATTI,
non le opinioni, e le giudichi CON IMPARZIALITA' a prescindere
da chi gli è davanti. È stato commesso un reato?
Questo deve decidere il giudice. Le idee politiche non c'entrano.
Altrimenti chi è di destra non potrebbe essere giudicato
da chi è di sinistra e viceversa. Ma allora ciascuno
dovrebbe essere giudicato da un giudice della sua parte. E allora
ciascuno dovrebbe scegliere il proporio giudice: una follia...
2. «In una democrazia liberale i giudici non fanno "resistenza,
resistenza, resistenza" a chi è stato scelto dagli
elettori per governare».
Ma Borrelli non ha mai inviatato a resistere al governo. Ha
invitato invece «la collettività a resistere, resistere,
resistere ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà
generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita
del senso del diritto, ultimo estremo baluardo della questione
morale». Nessun accenno al governo.
3. «In una democrazia liberale la magistratura non si
giudica da sé e si autoassolve in ogni sede disciplinare,
penale e civile come avviene oggi in Italia».
Ma a Milano suoi coimputati sono proprio tre magistrati, i giudici
di Roma accusati di aver venduto sentenze, arrestati e poi mandati
a giudizio per corruzione in atti giudiziari. In Italia sono
decine i magistrati arrestati e processati negli ultimi anni,
altro che autoassoluzioni.
4. «In una democrazia liberale chi governa per volontà
sovrana degli elettori è giudicato, quando è in
carica e dirige gli affari di Stato, solo dai suoi pari, gli
eletti del popolo».
Non è vero che in tutte le democrazie i politici godono
di speciali immunità: in Gran Bretagna e Stati Uniti,
culle della democrazia liberale, i governanti sono processabili,
tant'è vero che Bill Clinton, presidente degli Usa, l'uomo
più potente del mondo, ha dovuto per anni difendersi
dalle accuse dei giudici, per comportamenti certo meno gravi
di quelli contestati a Berlusconi. In nessuno Stato democratico
(tranne forse l'Iraq) esistono i privilegi che Berlusconi chiede
per sé. In molti Paesi esistono garanzie per proteggere
l'attività politica dei governanti. Ma Berlusconi è
accusato per reati, tangenti e fondi neri, commessi quand'era
imprenditore: quando dice di voler essere giudicato dai suoi
«pari» forse si riferisce a un collegio di industrialotti
brianzoli?
5. Sono vittima di una persecuzione giudiziaria: «Dal
momento della mia discesa in campo nell'attività politica,
contro di me e contro i dirigenti del gruppo sono stati avviati
87 procedimenti penali, sono state effettuate 470 visite della
polizia giudiziaria... Una incredibile persecuzione giudiziaria...».
Ma Berlusconi è accusato di FATTI, non di opinioni. Di
aver comprato sentenze, in questo caso. E comunque, come stabilito
da una sentenza del trubunale di Brescia (il migliore del mondo),
le inchieste su Berlusconi «avevano preceduto e non seguito
la sua decisione di "scendere in campo"».
6. Sono innocente: «Ho la certezza limpida, orgogliosa
e serena di non aver commesso reati».
Non può giudicarsi da solo. Se ha commesso reati lo decideranno
i giudici. Comunque sentenze definitive hanno già accertato
che Berlusconi ha reso falsa testimonianza sulla sua iscrizione
alla P2, ha pagato 10 miliardi in nero per un calciatore, ha
versato una tangente record (21 miliardi) a Craxi. Una mazzetta
limpida, orgogliosa e serena.
7. «Le correnti politicizzate della magistratura, giusto
10 anni fa, imposero a un Parlamento intimidito e condizionato
un cambiamento alla Costituzione del 1948 che ha nesso nelle
loro mani il potere di decidere al posto degli elettori».
L'abrogazione dell'autorizzazione a procedere per le indagini
a carico dei parlamentari nel 1993, in piena Mani pulite, fu
chiesta non dai giudici ma da due mozioni parlamentari firmate
da Umberto Bossi, Roberto Maroni, Roberto Castelli luna,
Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa laltra.
Dei sei firmatari, cinque oggi sono ministri di Berlusconi.
E relatore della legge costituzionale che abrogò limmunità
parlamentare non era un pericoloso comunista, ma un parlamentare
democristiano di nome Carlo Casini. «Il principio del
princeps legibus solutus è medioevale e quindi
superato», sostenne Casini in Parlamento il 12 maggio
1993. «Se vi è istanza di eguaglianza, quindi,
essa deve riguardare in primo luogo gli autori della legge».
Berlusconi, dunque, dell'immunità abrogata chieda ai
suoi ministri.
8. «Nel 1994 il governo fu messo platealmente sotto accusa
attraverso il suo leader in un procedimento iniziato a Napoli
mentre presiedeva una Convenzione dell'Onu e poi sfociato, per
assoluta mancanza di fondatezza, in una clamorosa assoluzione
molti anni dopo».
Il famoso invito a comparire per le tangenti Fininvest alla
Guardia di finanza fu notificato non a Napoli ma a Roma. Le
tangenti c'erano, come hanno stabilito le sentenze, tanto che
due manager Fininvest sono stati per questo condannati. Berlusconi
fu condannato in primo grado, prescritto in appello e infine
assolto dalla Cassazione: per insufficienza di prove. In un
Paese normale, per uscire dalla politica sarebbe sufficiente
la responsabilità morale di guidare un'azienda che paga
tangenti (negli Stati Uniti è bastato avere una baby
sitter irregolare...). Il governo Berlusconi, comunque, non
fu fatto cadere (come spesso si è ripetuto) dall'invito
a comparire, ma dagli alleati Bossi e Buttiglione che ritirarono
il loto appoggio.
|