Più
che un'indagine, quella sulla compravendita dei diritti televisivi
e cinematografici Mediaset pare un monumento al conflitto d'interessi.
Ma anche una grande, spettacolare gimkana.
Un lungo e tortuoso slalom fra regole esistenti e nuove norme
ad personam (falso in bilancio), condoni fiscali e defiscalizzazioni
(legge Tremonti), ostacoli di ogni genere alle rogatorie internazionali
(prima la legge che le cestinava, poi il blocco deciso da Castelli),
impunità incostituzionali (Lodo Maccanico) e ora il SalvaPreviti
sulla prescrizione, che in realtà è un SalvaBerlusconi.
Una legge-vergogna che, se se passerà, porterà
a morte sicura anche l'ultimo fascicolo aperto a Milano sul
Cavaliere. Ancora una volta (sarebbe la settima) non perchè
non ci sia reato. Ma per prescrizione.
I pm Alfredo
Robledo e Fabio De Pasquale, che lavorano a questo caso da quattro
anni nel silenzio più assoluto, vanno comunque avanti.
E chiudono, prima dello scadere dell'ultima proroga consentita,
un lavoro che ha fruttato rogatorie in 12 paesi, 500 mila pagine
di atti e 21 fogli di «avviso di conclusione delle indagini»:
quello che prelude, entro un mese, alla richiesta di rinvio
a giudizio. Per 14 indagati: Silvio Berlusconi (appropriazione
indebita, frode fiscale e falso in bilancio), Fedele Confalonieri
(«solo» falso in bilancio), i presunti soci occulti
Frank Agrama (cittadino Usa, già agente Paramount) e
Daniele Lorenzano (ex capoacquisti Fininvest), il superconsulente
inglese David Mills (marito di una ministra del governo Blair),
il presunto prestanome Erminio Giraudi(mercante di carni a Montecarlo),
il banchiere svizzero Paolo Del Bue, il cugino del Cavaliere
Giancarlo Foscale e la moglie Candia Camaggi (responsabili della
finanza svizzera), una sfilza di altri dirigenti e manager del
Biscione. Stralciati Marina e Piersilvio: su di loro si continua
a indagare per riciclaggio.
Linchiesta
nasce da una costola di quella - chiusa con la prescrizione,
grazie alla controriforma del falso in bilancio - sui 1550 miliardi
di fondi neri Fininvest. L'attenzione dei pm si concentra su
due misteriose società estere legate alla lussemburghese
Silvio Berlusconi Finanziaria: la Century One e la Universal
One. I loro conti svizzeri sono l'ultimo domicilio conosciuto
della gran parte dei fondi neri (104 miliardi) «distratti»
e dirottati «su conti bancari in Svizzera, alle Bahamas,
a Montecarlo, nella disponibilità degli indagati»
e «gestiti da fiduciari di Berlusconi».
Come nascono i fondi neri? Con un ingegnoso sistema di «creste»
legato, appunto, all'acquisto dei diritti in America. Mediaset
non li comprava direttamente. Li faceva acquistare da società
off-shore, fra cui Century One e Universal One, che a loro volta
li rivendevano ad altre società gemelle, in una sorta
di catena di sant'Antonio: a ogni passaggio, il prezzo aumentava.
Fittiziamente, secondo l'accusa. Una cresta oggi, una cresta
domani: così la differenza fra il valore reale e quello
gonfiato alimentava il polmone dei fondi neri. E - sostiene
la Procura - a ingrassava le tasche degli indagati. Soprattutto
di Silvio Berlusconi.
Ma perchè - domanda malizioso l'avvocato Niccolò
Ghedini - Berlusconi avrebbe dovuto rubare «soldi suoi»?
E come avrebbe fatto, visto che - è sempre Ghedini che
parla - «da quando è entrato in politica nel '93
ha lasciato tutte le cariche e non può esperire alcun
atto?».
La prima domanda
riguarda i moventi. Che, secondo i pm, sono tre.
Primo: il premier s'è messo in tasca, lui e i suoi cari,
l'equivalente di 280 milioni di euro (in dollari, lire, franchi
francesi e svizzeri, e persino in fiorini olandesi), ovviamente
in nero (appropriazione indebita).
Secondo: su quei fondi neri non ha pagato le tasse, esponendo
al fisco costi fittizi per abbattere i redditi e pompare le
perdite, sottraendo all'erario 124 miliardi di lire fra il 1996
e il '99 (frode fiscale). Terzo: ha gonfiato il valore dei magazzini
e dunque dell'azienda, approfittandone al momento della quotazione
in Borsa, avvenuta nel 1996 «sulla base di una falsa rappresentazione
della consistenza patrimoniale della società».
Il tutto iscrivendo nei libri contabili «maggiori costi»
per «mascherare la formazione di ingenti fondi neri»,
«con l'intenzione di ingannare i soci e il pubblico circa
la situazione patrimoniale della società» (falso
in bilancio fino al 2000).
La seconda domanda di Ghedini, nell'ipotesi accusatoria, ha
una risposta semplice semplice: Berlusconi finge da 12 anni
di disinteressarsi di Mediaset, ma in realtà ha continuato
a fare il bello e il cattivo tempo. Anche nel 1994, quand'era
presidente del Consiglio. E poi almeno fino al 1999, quand'
era capo dell'opposizione. In quanto principale azionista, è
una sorta di prestanome di se stesso.
La prova? Una
serie di testimonianze che raccontano come il Cavaliere, nei
week-end, non si limiti alle cantatine con Apicella. Ma abbia
continuato a dare disposizioni, sull'acquisizione di quei diritti
cine-tv e sull'espansione del suo impero all'estero, ai suoi
uomini di fiducia.
Quali? Soprattutto Carlo Bernasconi, capo della Silvio Berlusconi
Communications (morto nel 2001); Oliver Novick, responsabile
della Direzione corporate development (che già nel '95
aveva ammesso di aver «continuato a parlare con Berlusconi
della questione Spagna fino all'estate '94»); e Lorenzano,
plenipotenziario per il commercio dei film a Hollywood.
L'hanno raccontato alcuni collaboratori del gruppo, fonti davvero
insospettabili. Come l'ex segretaria di Bernasconi, Marina Camana:
secondo L'Espresso, ha raccontato ai pm che «le indicazioni
per l'acquisto dei diritti televisivi venivano impartite da
Arcore».
A questo punto entra in scena, proprio grazie alle rogatorie
americane che il governo ha fatto di tutto per bloccare, un
personaggio da romanzo esotico: Farouk Mohamed Agrama detto
«Frank», l'interfaccia di Lorenzano in America.
Nato in Egitto,
Agrama lavora come regista in Libano, poi sullo scorcio degli
anni 60 approda a Roma, dove fonda la Film Associates of Rome
(Far) e comincia a dirigere e produrre pellicole trash: «L'amico
del Padrino», «Sesso e pazzia», «Si
può fare molto con sette donne», «Queen Kong».
Nel luglio '79, mentre Berlusconi fa incetta di film alla Titanus
per il varo di Canale 5, si butta nel business della compravendita
di programmi tv. Ma, dopo pochi mesi, vola in California per
collaborare con Paramount.
Nel 1983 fonda, sul Sunset Boulevard, la casa di produzione
Harmony Gold.
Insieme a Lorenzano, diventa l'uomo del Cavaliere a Los Angeles
e fa soldi a palate, producendo film per la Berlusconi Communications
e rifornendo le reti Fininvest di diritti su programmi Usa,
tramite un'altra società:la Wiltshire Trading.
Secondo l'accusa, anche questa società ha svolto «un
ruolo di intermediario analogo a quello di Universal One e Century
One» per gonfiare i conti. Cioè le tasche del Cavaliere.
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