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  Chi non firma è perduto



Quando si parla del referendum sul lodo Berluschifani, uno conto è aver paura di non farcela, un altro è aver paura di farlo. E' giusto - come fanno alcuni leader del centrosinistra e dei movimenti - domandarsi: <E se non raccogliamo le firme? E se, raccolte le firme, non raggiungiamo il quorum alle urne?>. E' incomprensibile accusare chi firma o raccoglie le firme di <fare il gioco di Berlusconi> o di <farsi dettare l'agenda da Berlusconi>. Il Cavaliere sa benissimo che cosa gli conviene e che cosa no. Infatti continua a prendersela con chi lo attacca - i cosiddetti <demonizzatori> - a suon di denunce penali e civili, linciaggi mediatici, ostracismi televisivi. Tutti gli altri sono ospiti fissi dei suoi giornali, tv e case editrici. Da quando è in politica (si fa per dire), la sua agenda è universalmente nota. Punto 1: impunità duratura. Punto 2: monopolio televisivo forever. Punto 3: affari vari. Farsi dettare l'agenda da Berlusconi vuol dire agevolare o non ostacolare l'impunità, il monopolio, gli affari berlusconiani. Cosa che molti, troppi hanno fatto negli ultimi sette anni. Raccogliere le firme per abrogare l'impunità fresca di Lodo (e magari, domani, anche quell'altro obbrobrio che è la legge Gasparri) significa aprire un'agenda totalmente nuova, diametralmente opposta a quella del Cavaliere.

Non è neppure vero che, raccogliendo le firme, si intralcia il lavoro della Corte costituzionale. La Corte fa il suo mestiere, i cittadini il loro, e così pure (si spera) i partiti. Tutti speriamo che il referendum diventi inutile: che, cioè, venga anticipato dalla Consulta con una sonante dichiarazione di incostituzionalità del lodo della vergogna. Ma i giudici costituzionali non sono robot. Sono uomini. Vivono, pensano e decidono calati nella realtà del momento. Nei mesi prossimi, complice anche il passaggio di consegne da un presidente all'altro, saranno prevedibilmente oggetto di pressioni fortissime, anche implicite e inespresse, da parte delle quattro massime cariche dello Stato, che hanno chi imposto, chi voluto, chi condiviso, chi assecondato quel Lodo, mettendoci - come si suol dire - <la faccia> (almeno chi ce l'aveva). Far sapere alla Corte che qualche milione d'italiani si vergogna di quella legge-vergogna non è una pressione indebita. E' un diritto costituzionalmente garantito, come sanno in quel palazzo meglio che in qualunque altro. In ogni caso, le firme sono utili. Se la Corte boccerà il Lodo, sarà la conferma di una battaglia giusta. Se la Corte dovesse avallarlo, non significherebbe che il Lodo diventa buono, anzi. Costituzionale non vuol dire buono. E, con le firme in tasca, si potrebbe andare subito al referendum senza dover cominciare tutto da capo in tempo più difficili degli attuali.

Restano, è vero, i rischi di non farcela a raccogliere le firme. Ma solo se si lasciano soli Di Pietro e Opposizione civile. Basterebbe un Sì, o un Ni, da qualcuno dei maggiori partiti dell'Ulivo (ma anche da correnti, associazioni, movimenti come i Girotondi, Aprile e così via), per mettere in cascina quelle benedette 500 mila firme anche prima dei tre mesi canonici. L'estate, con le sue feste dell'Unità e le altre manifestazioni politiche, può rivelarsi propizia.

Quanto al quorum elettorale, il problema si porrebbe solo se la Corte dovesse avallare il Lodo. E ogni paragone con l'articolo 18 nelle piccole aziende è risibile. Qui è in gioco l'articolo 3 della Costituzione, non un articolo del pur importantissimo Statuto dei lavoratori. Il referendum appena fallito riguardava un ristretto numero di persone, neppure tutte concordi, e i partiti che han fatto campagna per il voto erano pochi, e per giunta piccoli. Il referendum per la legge uguale per tutti e contro l'impunità rappresenta, invece, valori universali e sentimenti largamente condivisi: un tema unificante, un mastice che unificherebbe l'elettorato d'opposizione e probabilmente aggregherebbe anche parecchi simpatizzanti del centrodestra, mettendo in grave imbarazzo partiti come la Lega e An che nel 1993 erano in prima fila contro l'immunità (ottima l'idea di Di Pietro di piazzare banchetti fuori dalle feste del Carroccio e del Secolo d'Italia, per vedere l'effetto che fa: dai primi riscontri, pare che arrivino anche elettori di quei due partiti). Eguaglianza e legalità non sono valori di destra o di sinistra. Sono di tutti. E tutti i sondaggi ci dicono che il Lodo è la legge più impopolare mai approvata negli ultimi anni: circa il 75-80 per cento degli italiani (compresi dunque molti elettori della Cdl) era e resta contrario. L'idea che qualcuno, solo per la carica che ricopre, diventi invulnerabile come e più di Achille (senza neppure il famoso tallone), non è ancora passata, neppure nell'Italia di Berlusconi.

In un'eventuale chiamata alle urne, poi, nessuno dei grandi partiti di destra e di sinistra inviterebbe all'astensione. La battaglia, salvo casi sporadici, dovrebbe giocarsi fra il Sì e il No. Garantendo quella mobilitazione emotiva che, di solito, significa quorum. E ancora, last but not least: serpeggia, anche nell' opposizione, una gran voglia trasversale di ritornare alla vecchia immunità parlamentare (magari nella forma peggiorativa pensata dai berluscones: Lodo Maccanico-Berlusconi allargato, cioè sospensione automatica - anche per chi non la vuole - dei procedimenti a carico degli eletti, con legge costituzionale e maggioranza trasversale dei due terzi, così si evita il fastidio del referendum confermativo). Un referendum subito contro l'impunità per i Cinque Intoccabili diventerebbe un poderoso freno contro chi già pensa di estenderla agli altri 945.

I tempi stringono. Senza le firme entro il 30 settembre, la questione va - per così dire - in prescrizione: scaduto quel termine, l'eventuale referendum slitterebbe al 2005. E allora il tempo sarà scaduto, la partita chiusa, la battaglia persa. Vale la pena buttarsi. Il rischio è minimo, il risultato comunque importantissimo. Centinaia di migliaia di Sì all'abolizione dell'impunità e del privilegio equivalgono ad altrettanti Sì alla Costituzione, a questa Costituzione, mai così amata da quando qualcuno decise improvvisamente di cestinarla e riscriverla in tutta fretta.

Si parla tanto, solitamente a sproposito, del prestigio dell'Italia in Europa e nel mondo. Qualcuno pensava di incrementarlo con immondizie tipo Lodo. Basta dare un'occhiata in giro per comprendere che si era tragicamente sbagliato. Ora però, in Europa e nel mondo, ci si domanda se l'unica Italia sia quella di Berlusconi, delle sue uscite sui Kapò e le sue barzellette sull'Olocausto, se tutti gli italiani siano rassegnati, supini, genuflessi ai piedi dello Statista di Milanello. <In Germania - diceva due sabati fa, alla manifestazione di Rimini, la studentessa romana che a Berlino ha osato fare una domanda al presidente Ciampi - ci adorano, ma si domandano come abbia potuto un popolo con la nostra cultura, storia e tradizione precipitare così in basso> (e non c'erano ancora stati gli insulti a Schulz). Le ha fatto eco Dario Fo, invitando anche lui a firmare: <Ovunque io vada, all'estero, la domanda è sempre la stessa: ma come avete potuto? Ma davvero siete tutti berlusconiani? Possibile che nessuno reagisca a questa vergogna?>. La vergogna, naturalmente, non sono i processi a Berlusconi. La vergogna sono le leggi per abrogarli (non per nulla, l'ultima volta che l'Italia si fece apprezzare nel mondo fu grazie a Mani Pulite, al coraggio dimostrato nel 1992-'93 nel processare una classe dirigente compromessa con la corruzione e la mafia).

Ecco, firmare il referendum è anche un messaggio all'Europa e al mondo: gli italiani che si vergognano e non si rassegnano sono milioni. L'altra Italia, quella che non applaude e dunque non si nota in televisione, non ha altra voce che questa per farsi sentire nel semestre europeo delle pagliacciate, delle volgarità e della cartapesta. Nelle democrazie vere, l'esecutivo è tenuto a bada dal Parlamento, dalla magistratura, dalla libera informazione, dal capo dello Stato. Nel nostro regimetto, questi contropoteri ce li siamo giocati l'uno dopo l'altro. Per difendere la nostra Costituzione e la nostra dignità ci rimangono la parola e la firma. Vogliamo rinunciare anche a quelle?

Marco Travaglio