Le scalate all'Antonveneta
e alla Bnl nelle mani dei giudici.
I campionati di calcio
di serie A, B, C nelle mani dei giudici.
Il presidente del Consiglio
e i suoi cari, tanto per cambiare, nelle mani dei giudici.
Il capo del Sismi,
generale Mario Mori, quello che deve difenderci dal terrorismo
con l'intelligence, nelle mani dei giudici (deve rispondere
di favoreggiamento alla mafia per essersi "dimenticato", dopo
l'arresto di Totò Riina, di perquisirgli il covo, lasciandolo
perquisire alla mafia).
Un centinaio di parlamentari
(su 945) nelle mani dei giudici.
Il grosso degli imprenditori
e dei finanzieri e dei banchieri più
noti del paese nelle mani dei giudici.
La (finta) guerra Rai-Mediaset
per i diritti del calcio nelle mani dei giudici.
Un paese intero,
a cominciare dalle sue cosiddette classi dirigenti, nelle mani
dei giudici.
Forse, invece di continuare
a recitare la litania dell'"invasione di campo della magistratura",
della "giustizia a orologeria", del "primato" della politica
o dell'economia, o invece di varare l'ennesima legge per salvare
questo e quello da fantomatiche "persecuzioni" (grandiose le
maratone anti-Caselli e salva-Previti mentre tutto il mondo
si attrezza contro il terrorismo), sarebbe il caso di domandarsi
una volta per sempre il perché di tutto ciò.
Sono i giudici che debordano
o sono le classi dirigenti che delinquono?
Nel primo caso, si tagliano le unghie ai giudici
(cosa che peraltro avviene da dieci anni e più a questa parte).
Nel secondo, si decide il da farsi. Magari
mandando queste classi dirigenti, se non in galera, almeno a
casa. Se qualche autorità di controllo extra-giudiziaria funzionasse
e riuscisse a mandarle a casa per tempo, i giudici processerebbero
degli ex, dei pensionati, dei trombati. E i contraccolpi - politici,
finanziari, sportivi - dei loro processi sarebbero nulli. Invece
chi più delinque più avanza in carriera e, quando arrivano i
giudici, il delinquente è più che mai al potere.
Prendiamo il governatore della
Banca d'Italia Antonio Fazio e il patron di
Bpl alla conquista dell'Antonveneta, il padano Giampiero
Fiorani. Il primo è l'arbitro (si fa per dire), il
secondo il giocatore di una partita contro una banca concorrente
olandese. Senonchè, appena gli si controlla il telefono, si
scopre che il giocatore è d'accordo con l'arbitro.
Lo chiama "Tonino". Gli telefona. Lo vede clandestinamente,
all'insaputa del concorrente straniero, convinto chissà da chi
che in Italia regni il libero mercato. "Ho messo adesso la firma",
dice Fazio a Fiorani un mese fa, in piena notte, preannunciandogli
l'ok alla sua Opa appena bocciata dalla vigilanza della stessa
Bankitalia. "Sono commosso, ho la pelle d'oca", dice Fiorani
al governatore, che risponde: "Vieni domani, ma passa come al
solito da dietro". Giampi e Tonino sono pappa e ciccia, alla
facciazza degli olandesi.
Due piccioncini, per non parlare
della moglie di Fazio, la governatora, attivissima anche lei
al telefonino. "Grazie, Tonino - dice Giampi - ti darei un bacio
sulla fronte. Se potessi, prenderei un aereo e verrei a Roma
adesso". Sembra un film di Totò ("Birra e salsicce"), invece
sono il controllore e il controllato della quinta potenza industriale
del mondo, che parlano anche dei loro amichetti: Gennaro, don
Gigi e ovviamente Stefano Ricucci.
Il mondo capitalista serio si
stropiccia gli occhi e dirotta i suoi prossimi investimenti
dall'Italia alla Romania. Da noi intanto, anzichè spazzare
via questa gente senz'aspettare i tribunali, è tutto un discettare
sulla magistratura milanese che ha osato intercettare il governatore
(falso: erano intercettati gli altri, che col governatore non
avrebbero dovuto parlare).
Un dito grosso così indica la
luna, e i cretini continuano a guardare il dito. O meglio, i
banditi.
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