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IL CAIMANO E LE MOZZARELLE
di Marco Travaglio
tratto dall'ultimo numero
della Primavera di Micromega |
Il Caimano c'è: è una brutta bestia, ha sette
vite, è risorto un'altra volta dalle sue ceneri.
Non c'è la Mortadella, che s'è rivelata una Mozzarella
ed è riuscita a resuscitarlo per l'ennesima volta.
Quando si vince per meno di 30 mila voti su 30
milioni dopo aver condotto per mesi la campagna
elettorale con molti punti di vantaggio, c'è poco
da appigliarsi al premio di maggioranza scattato
per la Camera. Quando si pareggia contro un centrodestra
che ha portato il Paese al più grave disastro
della sua storia, c'è poco da recriminare sulla
legge elettorale, alias "porcata". Quando al Senato
si resta indietro di 300 mila voti e si è costretti
a mendicare un voto da un Andreotti e da un Cossiga,
c'è poco da sperare in un governo solido e duraturo.
Quale che sia la conseguenza tecnico-istituzionale
che questo pareggio sortirà nei prossimi giorni
e che al momento non possiamo prevedere (questo
giornale chiude nella notte tra lunedì 10 e martedì
11 aprile), bisogna onestamente riconoscere che,
se il centrodestra è stato bocciato, il centrosinistra
non è stato promosso. E farebbe bene a non nascondersi
dietro i numeretti e i tecnicismi, ma ad aprire
immediatamente un severo e impietoso esame di
coscienza. Un governo così indecente, catastrofico
e impopolare, dunque così facile da battere, non
era mai capitato ad alcuna coalizione in Europa,
né probabilmente capiterà mai più. Superarlo di
poche migliaia di voti alla Camera e farsene addirittura
battere al Senato non è un successo esaltante.
E' una magra consolazione, la consolazione dei
dannati. L'unico elemento positivo è che Silvio
Berlusconi non tornerà a Palazzo Chigi. Per il
resto, c'è solo da sperare che il governicchio
di Prodi duri il più a lungo possibile. Concentrandosi
su pochi obiettivi urgenti, quelli che accomunano
le varie anime dell'Unione, e accantonando i temi
meno centrali, che la dividono. Circondando Prodi
di una scorta umana che lo protegga dalle mire
ricattatorie di questo o quel partito. Respingendo
le tentazioni di inciucio con l'Udc (il partito
di Cuffaro) o addirittura con Berlusconi, il quale
non chiede di meglio che sedersi intorno a un
tavolo purchessia per "dialogare" e mercanteggiare
su qualunque favore in cambio delle solite contropartite
giudiziarie e affaristiche. E soprattutto, visto
che le prossime elezioni non saranno fra cinque
anni ma -temiamo- molto prima, concentrare le
energie per una draconiana legge sul conflitto
d'interessi. Per evitare di ritrovarci, la prossima
volta, il solito uomo solo al telecomando. Intanto,
recitare il mea culpa e trarne le conclusioni
del caso. Il capitolo delle colpe infatti è piuttosto
lungo, quasi quanto le 281 pagine del programma
dell'Unione.
1) Mentre il Caimano imperversava in tutt'Italia,
su tutti i giornali, su tutte le tv, andando a
strappare i voti uno per uno negli angoli più
reconditi del Paese, le Mozzarelle si cullavano
nella certezza di una vittoria schiacciante (illusi
da soloni come il professor Ceccanti, il quale
giudicava "matematicamente impossibile" quel pareggio
al Senato che puntualmente s'è verificato). Complice
il suo monopolio illegale sulle televisioni, la
campagna elettorale l'ha fatta il Cavaliere solitario,
da solo. Gli altri pensavano ai posti da spartire,
alle poltrone da assicurare a mogli, parenti,
famigli, amici degli amici.
2) Si sono gettati via molti voti utili, impedendo
all'unico valore aggiunto dell'Unione, Romano
Prodi, di far fruttare il suo contributo. Al Senato
s'è gettata la maggioranza alle ortiche perché
il signorino Rutelli ha impedito che anche lì,
come alla Camera, si presentasse la lista dell'Ulivo,
che alla Camera ha totalizzato molti più consensi
della misera sommatoria dei Ds e della Margherita.
In entrambe le Camere si sono buttati dalla finestra
altre migliaia di voti, sbattendo la porta in
faccia alle tante liste civiche che chiedevano
soltanto di potersi apparentare alla coalizione:
il tutto perché Prodi non ha avuto il coraggio
di imporsi e perché i maggiori azionisti della
sua alleanza, Ds e Margherita, non volevano rischiare
qualche centimetro quadrato del proprio orticello.
3) Si sono pagati prezzi altissimi per inseguire
i Pannella e i Capezzone nelle loro bizzarrie,
in cambio del modesto 2 e qualcosa per cento della
Rosa nel Pugno, il partito tutto mediatico che
ha raccolto poco più di quel che avrebbe totalizzato
lo Sdi. Si è addirittura corso dietro a nullità
come i socialisti di Bobo Craxi, neutralizzando
segnali importanti come le candidature di Gerardo
D'Ambrosio e Furio Colombo, ignorando offerte
di collaborazione di un pezzo importante di intellettualità
e società civile, come quello rappresentato da
Paolo Sylos Labini, Elio Veltri e Giulietto Chiesa.
4) Ci si è attardati appresso a polemiche ormai
sterili sulla legge elettorale-porcata anziché
sfruttarla come un'occasione imperdibile per chiamare
gli elettori a scegliere i candidati con una grande
campagna di primarie, che avrebbe valorizzato
e galvanizzato i 4 milioni e mezzo di italiani
che erano corsi ai gazebo per "investire" l'aspirante
premier.
5 )Si sono così presentate liste a tratti deludenti,
a tratti imbarazzanti, con capilista giurassici
come Ciriaco De Mita, personaggi inquisiti come
Crisafulli in Sicilia e De Luca in Campania, o
condannati come Carra della Margherita, o prescritti
come De Piccoli della Quercia, escludendo nomi
forti come Nando Dalla Chiesa ed esiliando in
zone grigie combattenti come Beppe Giulietti.
6) Si è ceduto alla vanità televisiva, assecondando
così (con l'eccezione di Prodi) l'ansia di presenzialismo
del Cavaliere. Mentre il Professore, giustamente,
limitava al minimo le presenze in video per contestare
anche visivamente lo scandalo del monopolio in
mano al suo avversario, disertando gli studi di
Mediaset, gli altri vanesii leader e leaderini
facevano a gara a sfidare a duello il Cavaliere,
consentendogli di realizzare quel giudizio di
Dio, quel referendum pro o contro se stesso che
è stato fin dall'inizio lo scopo della sua campagna
solitaria.
7) Una tragica sottovalutazione del fattore-tv
come vettore di voti, frutto di una vecchia arretratezza
culturale e di un'annosa "sindrome da puzza sotto
il naso" che porta la sinistra a non comprendere,
e dunque a rifiutare uno studio attento delle
tecniche di comunicazione televisiva più efficaci.
Si pensa che la tv sia un posto da occupare, si
piange quando lo occupa il Cavaliere, ma non ci
si domanda mai come usarlo quando - sia pure in
condizioni di minorità e di impar condicio - se
ne dispone. E, soprattutto, si trascura l'effetto
devastante della scomparsa dei fatti dalla tv
berlusconiana, dell'asservimento dell'informazione
con l'espulsione di tutte le voci libere, della
sterilizzazione delle notizie e dei temi scomodi.
Col risultato di sottoporsi alla demonizzazione
berlusconiana a base di accuse false, rinunciando
a priori a rispondere con una demonizzazione a
base di notizie vere.
8) Gli errori di comunicazione del centrosinistra
sono noti, ma solo ora se ne possono apprezzare
le devastanti conseguenze nel consentire la rimonta
del Cavaliere e nel disperdere il cospicuo vantaggio
accumulato per cinque anni fino a due mesi dal
voto. Un programma interminabile, verboso e illeggibile.
Un messaggio confuso, contraddittorio e cacofonico
sul tema cruciale delle tasse, al quale il premier
rispondeva regolarmente con un messaggio netto
e univoco: il suo. Una squadra di consiglieri
e "spin doctor" a dir poco dilettantesca, che
non è riuscita a escogitare un solo slogan efficace
per dare l'idea del progetto di governo dell'Unione
(l'unico messaggio a bucare il video, quello del
"cuneo fiscale", non l'ha capito nessuno) o per
far sognare la gente. Nemmeno quando è partita
la campagna delinquenziale del centrodestra per
gabellare il centrosinistra come il governo delle
tasse. Il risultato è che Berlusconi era sempre
all'attacco, e l'Unione sempre in difesa. Lui
la lepre, gli altri gli inseguitori. Lui accusava,
loro rispondevano che non era vero. Ma l'agenda
la dettava lui per tutti, anche per i suoi trafelati
avversari. I quali avrebbero potuto impugnare
le bandiere della legalità, della pulizia, della
libertà d'informazione, dell'ambiente, insomma
di una rivoluzione liberale, invece hanno sprecato
il loro tempo a rincorrere la lepre, promettendo
moderatismo e continuità a un elettorato ansioso
di novità e radicalità.
9) Mentre il Cavaliere s'è concentrato su poche
parole d'ordine, rinviando a dopo il voto le fumisterie
del partito unico del centrodestra, a sinistra
si perdevano energie e tempo prezioso a discettare
di Partito Democratico. Un progetto che ricorda
sempre più le tragicomiche vicende della "Cosa
2" di dalemiana memoria, visto oltretutto il misero
risultato raccolto dai suoi aspiranti fondatori:
il deprimente 18 per cento dei Ds, come l'imbarazzante
10 per cento della Margherita, è un ottimo motivo
per non riparlarne mai più. E per inventare qualcosa
di più appetibile per gli elettori. Magari ripescando
l'idea del Grande Ulivo che tante ironie aveva
suscitato fra gli strateghi del riformismo senza
riforme quando Romano Prodi l'aveva lanciata.
Quanti altri fallimenti dovranno collezionare
i Fassino e i Rutelli, cioè i grandi sconfitti
del 2001, per cedere il passo a qualcuno più vincente
di loro? Non dev'essere poi così difficile trovarlo:
si parte quasi da zero.
Alla fine dei conti, si ritorna sempre lì: non
in piazza Santi Apostoli, ma in piazza Navona.
La piazza Navona del febbraio 2002, quando Nanni
Moretti, prima di occuparsi dei Caimano, si occupò
molto opportunamente delle Mozzarelle. E urlò:
"Con questi dirigenti non vinceremo mai". Sarà
il caso di replicarlo in tutti i cinema d'Italia,
quel film. "Con questi dirigenti non vinceremo
mai". Presto o tardi, più presto che tardi, è
ora che vadano a casa.
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