In "Montanelli e il cavaliere" la lunga e controversa
storia del rapporto tra il direttore de "ll Giornale"
e Berlusconi Travaglio: «La mia battaglia contro il regime»
«Esisti soltanto se la tv lo dimostra, altrimenti ti fanno
sparire com'è accaduto a Biagi e Santoro». La sua è una
guerra dichiarata, limpida e combattuta alla luce del
sole: «Finché c'è Berlusconi, io mi occuperò di lui».
L'obiettivo è scavare, scavare e scavare, per «ricostruire
tutte le porcherie fatte in questi anni», svelare «le
menzogne» e provare, così, ad «abbreviare il regime».
Marco Travaglio scandisce le parole con sicurezza, nessun
obiettivo "nascosto" dietro il suo "Montanelli e il Cavaliere,
storia di un grande e di un piccolo uomo" (Garzanti, 14
euro): sin dal titolo «tutto è dichiarato e scoperto.
Nessun giochetto o missione da compiere. La vicenda andava
raccontata, e non soltanto per «restituire quella voce
ai tanti lettori che ne sentono la mancanza», ma anche
«per trascorrere qualche ora insieme a lui», al grande
vecchio che segnò il giornalismo italiano.
Travaglio sospira, «ho aspettato tre anni prima di scrivere,
sapevo che nel frattempo sarebbero arrivate le biografie
e tutto il resto. E dato che nelle biografie gli ultimi
anni vengono condensati in poche paginette e raccontati
come un'appendice senile di un vecchio in preda all'imbecillimento,
ho pensato di ridar voce proprio a lui, a Montanelli».
E di lasciarlo parlare in prima persona, attraverso le
sue risposte ai lettori del "Corriere", i fondi, le interviste.
Per ritrovare tutte quelle parole «che molti, troppi,
si sono affrettati a dimenticare e a far dimenticare fin
dal giorno dopo della sua morte». Quindi non si tratta
di «offrire la mia versione», ma di ascoltare «la sua
versione, quella di Montanelli».
Ma non si stanca mai di questa battaglia contro Berlusconi?
«Sono un giornalista che ha deciso di smascherare le bugie
dette a questo paese. E mi vergogno anche di tanti colleghi
che fanno finta di non vedere. Quello che accadde tra
Montanelli e Berlusconi fu cruciale per capire l'Italia
di Berlusconi».
Anche su quella vicenda, tante versioni.
«Non ci possono essere versioni, fu semplicemente cacciato
a pedate il più grande giornalista d'Italia. Berlusconi
venne all'assemblea de "Il Giornale" - ma l'editore era
il fratello Paolo - e ci disse di ribellarci al direttore,
di fare un golpe dall'interno. E tutto ciò all'insaputa
del direttore. Non ha avuto neanche il coraggio di fare
quello che fa qualsiasi editore quando vuole cambiare
un direttore: lo licenzia. La cronaca dei fatti è chiara,
non ci sono altre interpretazioni o versioni. Casomai
ci sono balle messe in giro ad hoc».
Mai incontrato Berlusconi?
«No, per fortuna no».
Che direbbe oggi Montanelli guardando quest'Italia?
«Direbbe qualcosa di più pesante di quello che scriveva
nel 2001: "L'Italia berlusconiana è la peggiore delle
Italie che ho mai visto per volgarità e bassezza". Parlava
di manganelli mediatici nel lontano '94».
Secondo alcuni, lei non potrebbe scrivere i libri che
scrive se vivessimo in un regime.
«Perché questo non è fascismo, è regime mediatico. E nel
regime mediatico tu esisti soltanto se la tv lo dimostra.
Altrimenti ti fanno sparire. Come Biagi, Santoro, Luttazzi,
Sabina Guzzanti. Il regime mediatico è pericoloso perché
non ha uniforme, ma è come il diavolo di Baudelaire: è
subdolo perché ti fa credere di non esistere, ma c'è.
Tutto quello che Montanelli aveva previsto si sta puntualmente
verificando».
Ad un giovane cronista che comincia il mestiere, cosa
direbbe?
«Montanelli gli avrebbe detto di cambiare mestiere...»
Lo disse pure a lei.
«All'inizio sì, poi si mise i miei articoli in tasca e
dopo un paio di mesi mi richiamò. Montanelli amava questo
mestiere, oggi sempre più difficile. Ecco, direi: se hai
voglia di correre, di fare fatica e non pensi alla carriera,
questo è il mestiere giusto. Seririò fai Vespa... le pro
loco della politica, gli uffici stampa».
Di che cosa va più orgoglioso?
«Mi rende orgoglioso sapere che il pubblico mi legge,
mi scrive, mi apprezza, mi incoraggia, viene alle presentazioni
dei libri. Ho fatto tesoro di un consiglio del vecchio:
pensa al lettore, scrivi semplice, con un po' d'ironia,
il lettore non si deve stancare a metà di un articolo.
Ed essere detestato dai politici è una naturale conseguenza
del mio punto di vista. Ah, puntualizzo che non sono di
sinistra, ma un liberale-montanelliano».