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Mani
Pulite
La vera storia
Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio
Pagine 734, prezzo 16.50€, anno 2002
Editori Riuniti www.editoririuniti.it
Cronache
e racconti, dati e date, carte segrete e rivelazioni
inedite, scene e retroscena di 10 anni di storia italiana
smentiscono - senza aggettivi nè commenti - le bugie
e le amnesie del revisionismo ufficiale. Interviste
con i magistrati del pool e, in appendice, le memorie
di Francesco Saverio Borrelli. Dall'arresto di Mario
Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, il 17 febbraio 1992,
alla manifestazione di 40 mila cittadini al Palavobis
di Milano per il decennale di Mani Pulite, il 23 febbraio
2002, gli autori ripercorrono le vicende della più grossa
indagine mai condotta sulla corruzione politico-imprenditoriale
della storia d'Europa. La marcia di avvicinamento a
Bettino Craxi, raggiunto dal fatidico avviso di garanzia
nel dicembre '92, dopo l'estate delle stragi politico-mafiose.
La falcidie dei ministri del governo Amato. Il primo
colpo di spugna, firmato da Conso. La scoperta della
maxitangente Enimont, la famiglia Ferruzzi nella bufera,
i suicidi di Gardini e Cagliari, e poi via via la caduta
di tutti i santuari della politica e dell'industria:
il Psi di Craxi, Martelli e De Michelis, la Dc di Forlani,
Andreotti e Pomicino, il Pri di La Malfa, il Pli di
Altissimo, il Psdi di Vizzini. E poi le tangenti rosse,
con l'arresto di Greganti e Pollini e la decimazione
della classe dirigente milanese, fino alle indagini
su D'Alema e Occhetto. E il coinvolgimento di tutti
i principali gruppi imprenditoriali: dalla Fiat a Ligresti,
dall'Olivetti alla Montedison, dall'Eni all'Iri. Nel
'94 la "discesa in campo" di Berlusconi con la Fininvest
già pesantemente coinvolta in Tangentopoli. La vera
storia dell'inchiesta sulle tangenti alla Guardia di
Finanza, con un'intercettazione mai pubblicata fra Berlusconi
e l'avvocato Berruti, e la ricostruzione minuto per
minuto del famoso invito a comparire durante il vertice
di Napoli. I segreti delle dimissioni di Di Pietro dal
pool e i complotti craxiani e berlusconiani per incastrare
l'ex pm davanti alla Procura di Brescia e impedirgli
di entrare in politica e per infangare gli altri uomini
del pool, Colombo, Davigo, D'Ambrosio e Greco. Nel '95
arrivano Stefania Ariosto e Ilda Boccassini, ed ecco
lo scandalo delle "toghe sporche", ricostruito passo
dopo passo attraverso microspie, intercettazioni, pedinamenti
e conti bancari. Nel 1996: il centrosinistra vince le
elezioni ma inaugura la politica dell'"inciucio" che
approda a una serie infinita di controriforme della
giustizia e culmina nelle bozze Boato della commissione
bicamerale D'Alema-Berlusconi. Infine, il ritorno del
Cavaliere a Palazzo Chigi e di ben 80 fra condannati
e inquisiti in Parlamento. E' l'offensiva finale contro
Mani Pulite: reati aboliti, giudici trasferiti, pm diffamati,
minacciati di arresto e privati della scorta, processi
a rischio di trasferimento da Milano a Brescia. Borrelli
(il libro si conclude con una sua intervista-testamento),
alle soglie della pensione, invita i cittadini a "resistere,
resistere, resistere". E i cittadini scendono in piazza
in difesa della "legge uguale per tutti". Gli autori
rinunciano ai commenti e agli aggettivi e lasciano che
siano i fatti a smentire i luoghi comuni usati nel corso
degli anni contro Mani Pulite: dalle "toghe rosse"all'"accanimento
giudiziario", dalle "persecuzioni politiche" alle "manette
facili", dal "non poteva non sapere" alla "supplenza",
dalla "guerra civile" al "colpo di stato". Molte le
rivelazioni inedite, sul caso Berlusconi, ma anche sulle
tangenti rosse e perfino su una probabilissima tangente
"nera". Per questo il libro, prima ancora di uscire,
ha subìto attacchi e tentativi di censura: la vera storia
di Mani Pulite fa paura tanto alla destra quanto alla
sinistra.
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(...) In preparazione, intanto, c'è un nuovo colpo di
scena. L'ennesimo "scandalo" che pare fatto apposta
per raffigurare l'Italia come un Far West in preda alle
scorrerie di bande di magistrati impazziti. L'11 ottobre
1996 Silvio Berlusconi convoca una conferenza stampa
e mostra al mondo una microspia trovata tre giorni prima
dietro il termosifone della sua residenza romana, proprio
nel salone adibito alle riunioni con gli altri leader
del Polo. Viste le dimensioni e la tecnologia non molto
aggiornata dell'aggeggio, qualche giornale lo ribattezza
"cimicione". Ma il Cavaliere giura che è "perfettamente
funzionante", in grado di trasmettere "fino a 300 metri
di distanza". Poi lancia un drammatico allarme sul fatto
di essere spiato e parla di "Procure eversive" che calpestano
l'immunità parlamentare e minacciano la democrazia.
Spiega anche di aver avvertito immediatamente, prim'ancora
dei carabinieri, "l'amico Massimo": cioè D'Alema, candidato
alla presidenza della Bi-camerale. D'Alema assicura
subito la sua solidarietà: "È un fatto grave, che testi-monia
il clima torbido di un paese inquinato da intrighi,
manovre, veleni e sospetti. Bisogna reagire con fermezza,
con un colpo di reni, riscrivendo le regole della convivenza
civile e democratica".
Chi mette in dubbio la serietà dell'allarme viene severamente
redarguito dalla stampa di casa Fininvest. "Siamo seri
ammonisce Panorama in un editoriale - il fatto che un
capo di un partito politico - si chiami Berlusconi,
Bianco o D'Alema (diano un'occhiata ai termosifoni)
- sia spiato è una circostanza di eccezionale gravità
che non può essere archiviata con le freddure o con
un dibattito parlamentare". Il 16 ottobre Luciano Violante
convoca la Camera in seduta straordinaria. Berlusconi
prende la parola in un'aula gremita all'inverosimile.
L'ora è drammatica, l'atmosfera carica di tensione,
il clima da pre-golpe.
crax "Onorevoli colleghi - scandisce nel silenzio generale
il Cavaliere - il fatto è davvero grave: un'attività
spionistica ai danni del leader dell'opposizione che,
da chiunque sia stata ordita, rientra perfettamente
nel panorama non limpido della vita nazionale. Mai,
in nessun periodo della storia repubblicana, sono gravate
sulla libera attività politica tante ombre e tanto minacciose...".
Poi al microfono si alternano leader della maggioranza
e dell'opposizione. Solo Maroni e Veltri, malfidati,
ipotizzano che il Cavaliere la cimice se la sia piazzata
da solo. Maroni si permette una battuta: "Piú che una
cimice, pare una mozzarella...". Buttiglione parla invece
di "scandalo non inferiore al Watergate". Dini sostiene
che "sono a rischio le libertà fondamentali". Mussi
invoca un'imprescindibile "riforma dei servizi segreti".
E Manconi propone addirittura il licenziamento in tronco
di "tutti i vertici di tutti i troppi servizi d'informazione,
intelligence, spionaggio e controspionaggio". Previti
mette subito le mani avanti: "I servizi non c'entrano
e non si toccano". Gli onorevoli di An Lo Presti, Fragalà,
Simeone e Cola invocano una commissione parlamentare
d'inchiesta.
Anche Craxi si fa sentire da Hammamet ("Un'azione da
professionisti, una sporca operazione a orologeria politica"),
mentre Sgarbi coglie l'occasione per chiedere le immediate
dimissioni di Antonio Di Pietro da ministro dei Lavori
pubblici. Tiziana Maiolo parla di "rapporti occulti
e illegali fra politica, magistratura e criminalità".
Mancuso si limita a un laconico commento: "Villani!".
Pisanu e Taradash additano le "Procure deviate".
Tra i commentatori, Vittorio Feltri sostiene: "Stupirci
per due cimici a Berlusconi? Ci saremmo stupiti se non
gliele avessero gettate tra i piedi. [...] Siamo in
pieno socialismo reale". E Saverio Vertone: "Abbiamo
uno Stato di polizia che supera ogni record del passato.
L'Inquisizione non aveva i mezzi tecnologici, ma chi
ha piazzato quella microspia ha sicuramente superato
Torquemada". Lo sdegno è insomma unanime e la ritrovata
unità del Parlamento nella condanna del "cimicione"
contribuisce ad accelerare il passo verso la Bicamerale
per le riforme, indicata come la panacea di tutti i
mali. Qualche settimana dopo, le indagini della Procura
di Roma appureranno che la microspia era un ferrovecchio
inservibile da anni, per nulla funzionante. E che, a
piazzarla in casa Berlusconi, non era stata una "Procura
deviata", ma un amico del capo della sicurezza di Berlusconi,
incaricato di "bonificare" la residenza romana del Cavaliere.
Mestamente archiviata la denuncia del leader forzista,
che ipotizzava addirittura i reati di "spionaggio politico,
violazione di domicilio, intercettazione abusiva, abuso
d'ufficio e attentato ai diritti costituzionali del
capo dell'opposizione".
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