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MONDADORI,STORIA D’UNA SENTENZA COMPRATA di marco travaglio

La sentenza del 1991 che annullò il Lodo Mondadori e consegnò il primo gruppo editoriale italiano a Silvio Berlusconi, sfilandolo a Carlo De Benedetti, era comprata. L’acquirente si chiama Cesare Previti, che agiva per conto del Cavaliere e con denaro della Fininvest, beneficiaria finale del mercimonio criminale. Questo, tradotto in Italiano, significa la condanna definitiva emessa l’altroieri dalla Cassazione a carico degli avvocati Fininvest Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora e del giudice Vittorio Metta. Da 17 anni, dunque, Berlusconi – soi disant “uomo che s’è fatto da sé” - possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali (tra i quali Panorama e il defunto Epoca), che ha utilizzato finanziariamente per accumulare utili e politicamente, prima per sostenere i suoi padrini (Craxi in primis), poi per costruire il consenso necessario alla sua “discesa in campo”, ai suoi due governi e alle sue quattro campagne elettorali. Ancora l’altroieri il sito di Panorama ha diramato, in violazione del segreto investigativo, la notizia della presunta iscrizione sul registro degli indagati di Romano Prodi da parte della Procura di Catanzaro: ma Panorama, senza la sentenza comprata del 1991, non apparterrebbe a Berlusconi. Visto lo spazio lillipuziano riservato dai media “indipendenti” a un verdetto così clamoroso (nemmeno un accenno sulla prime pagine di Corriere della sera, Messaggero e Stampa, per non parlare del Giornale), è il caso di riepilogare la storia di quella sentenza comprata. IL LODO. Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni di Leonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”. De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio ‘91. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre ‘89, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anticraxiano a quello filocraxiano. La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno ’90, dà ragione De Benedetti. Il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare all’Ingegnere. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, insieme ai Formenton, impugna il lodo alla Corte d’appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio ‘91. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L’Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce – testimonierà De Benedetti – che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’ avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Cesare Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”. Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni. Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest. I SOLDI. Indagando dal 1995 sulle rivelazioni di Stefania Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre il fiume di denaro che dalla Fininvest affluì sui conti esteri degli avvocati della Fininvest e da questi, in contanti, nelle mani del giudice Metta. Il 14 febbraio ‘91 dalle casse della All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto Mercier di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto Careliza Trade di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto Pavoncella di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre, e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, è Vittorio Metta. Il giudice, nei mesi successivi, fa diverse spese (tra cui l’acquisto e la ristrutturazione di un appartamento per la figlia Sabrina e l’acquisto di una nuova auto Bmw) soprattutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni).Poi si dimette dalla magistratura, diventa avvocato e va a lavorare con la figlia Sabrina nello studio Previti. A proposito di quei 3 miliardi Fininvest, Previti parla di “tranquillissime parcelle”, ma non riesce a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentono anche Pacifico e Acampora. E così Metta che, sulla provenienza dell’improvvisa, abbondante liquidità (per esempio, un’eredità), viene regolarmente smentito dai fatti. Poi giura di aver conosciuto Previti solo nel ‘94, ma mente ancora: i pm Boccassini e Colombo scoprono telefonate fra i due già nel 1992-93. Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio ’91: il giorno dopo della camera di consiglio. Un’impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava 2-3 mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che quella era stata scritta prima che la Corte decidesse. IL PROCESSO. Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello, accogliendo il ricorso della Procura, li rinvia a giudizio, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sí e agli altri no? Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l’applicazione” delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è «ragionevole» e «logico» che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un semplice fatto tecnico come le attenuanti prevalenti “per la condotta di vita successiva all’ ipotizzato delitto”. Anziché rinunciare alle generiche per essere assolto nel merito, Berlusconi prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (sempre col comma 2 dell’art. 530) per Mondadori. Ma nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina alla Corte d’appello di condannare anche per Mondadori. La qual cosa accade nel febbraio 2007: Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, in “continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”. Berlusconi era all’oscuro dell’attività corruttiva del suo avvocato-faccendiere (che ufficialmente non difendeva la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocati Mezzanotte Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: il Cavaliere – scrivono i giudici – aveva “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto, “la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”, cioè di Berlusconi. E “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della cosiddetta ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”. La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari”. Ora che la sentenza è definitiva, la Cir con gli avvocati Pisapia e Rubini chiederà 1 miliardo di euro di danni. In pratica, 17 anni dopo, la restituzione del maltolto. Chissà se il Cavalier Prescritto li farà pagare ai condannati, o se metterà mano al portafogli. Nella prima ipotesi, qualcuno potrebbe innervosirsi e ricordarsi qualcosa. Magari raccontando chi gli chiese di comprare la sentenza Mondadori.

Pubblicato sull'Unità di Domenica Lug 15, 2007

Marco ha scritto anche al sito di Beppe Grillo

Informazione all’italiana: dal corruttore al consumatore

Una sentenza della Cassazione ha condannato Previti, ormai record man italiano di pene aggiudicate, per la Mondadori.
Corruppe un giudice e la Mondadori finì, per la solita coincidenza, alla Mediaset.
La Mondadori va messa sul mercato, non può appartenere a chi l’ha ottenuta grazie alla corruzione.
Scusate: era una battuta... Non volevo mettere in difficoltà rutellifassinodalemabertinottidilibertoviolanteveltroni. Anche loro hanno diritto a tirare a campare, come tutti in questo Paese marcio.
Travaglio, l’informato sui fatti, ci spiega in dettaglio lo scippo del più importante gruppo editoriale italiano.

Previticristosocrate e il Cavalier Prescritto.
“Lunedì, per convincere la giunta per le elezioni della Camera a conservare la poltrona, lo stipendio e la pensione al suo cliente pregiudicato e interdetto Cesare Previti, l’avvocato Giovanni Pellegrino (che è anche ex senatore Ds e presidente Ds della provincia di Lecce) l’ha paragonato a Gesù Cristo e a Socrate. Venerdì Previti, in arte Socrate, in arte Cristo, è stato condannato definitivamente dalla Cassazione a 1 anno e 6 mesi nel processo Mondadori, in aggiunta ai 6 anni già totalizzati nel processo Imi-Sir (i 5 anni subìti in appello nel processo Sme-Ariosto cadranno a giorni in prescrizione grazie a un’altra sezione della Cassazione, che ha avuto la bella pensata di mandare il processo a Perugia proprio sul filo di lana).
Grazie a due leggi vergogna – la ex Cirielli e l’indulto – e a un regolamento-vergogna, Previticristosocrate non sconta la pena in carcere, ma a Montecitorio, anche se è provvisoriamente agli arresti domiciliari. Ma non è il suo destino l’aspetto più importante dell’ultima sentenza. E’ il contenuto, che ha accertato ormai definitivamente come andarono le cose nella “guerra di Segrate” che a cavallo degli anni 80 e 90 oppose la Cir di Carlo De Benedetti alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Per una complicata controversia di accordi e pacchetti azionari, sia l’Ingegnere sia il Cavaliere sostenevano di essere i padroni della Mondadori, il primo gruppo editoriale italiano che controllava, oltre al settore libri, La Repubblica, l’Espresso, Panorama, Epoca e 15 giornali locali. Si affidarono dunque a un arbitrato super partes, che nel 1990 – col famoso “lodo Mondadori” - diede ragione a De Benedetti. Allora Berlusconi rovesciò il tavolo e impugnò il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Questa, con una sentenza firmata dal giudice Vittorio Metta il 24 gennaio 1991, annullò il lodo e consegnò la Mondadori a Berlusconi. Per la gioia di Bettino Craxi, che spense così la principale voce di opposizione al regime del Caf. Mesi dopo, Andreotti costrinse Berlusconi a restituire una parte del maltolto (Espresso, Repubblica e giornali locali) al legittimo proprietario. Poi, nel 1995, grazie alle rivelazioni di Stefania Ariosto, il pool di Milano cominciò a indagare sulle sentenze comprate da Previti e scoprì che lo era pure quella del giudice Metta su Mondadori (come quella di tre mesi prima, firmata dallo stesso Metta, sull’Imi-Sir): all’indomani del verdetto, la Fininvest bonificò 3 miliardi di lire a Previti che, tramite altri due avvocati berlusconiani, fece arrivare 400 milioni in contanti a Metta. Il quale poi lasciò la magistratura, divenne avvocato, e indovinate in quale studio andò a lavorare con la figlia Sabrina? Ma nello studio Previti, ovviamente.
Berlusconi è uscito dal processo col solito grimaldello: attenuanti generiche e prescrizione del reato. Previti, Metta e gli altri due avvocati imputati (Pacifico e Acampora), invece, sono stati condannati per corruzione. Ma nella sentenza d’appello, confermata venerdì dalla Cassazione, si afferma che il Cavaliere aveva “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto, “la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”, cioè dell’attuale capo dell’opposizione. Il quale, dunque, da 17 anni controlla e utilizza abusivamente una casa editrice e i suoi giornali per accumulare miliardi e consensi politici. De Benedetti gli chiederà, in separata sede civile, un risarcimento di 1 miliardo di euro. L’altra sera, a Rovigo, don Luigi Ciotti ha ricordato che nell’ultima finanziaria il governo ha approvato l’estensione del sequestro dei beni, finora previsto per i mafiosi, anche ai corrotti e ai corruttori. Sarebbe forse il caso di confiscare la Mondadori a colui che, nel 1991, la rubò. E di raccontare agl’italiani l’odore dei soldi e dei giornali del Cavaliere. Ma forse la seconda impresa è più ardua della prima: il Tg5 del neodirettore Mimun, venerdì sera, non ha dedicato nemmeno un servizio alla sentenza. E né il Corriere della Sera, né il Messaggero, né La Stampa ne hanno dato notizia in prima pagina. In fondo Berlusconi ha solo rubato il primo gruppo editoriale italiano a un concorrente: che sarà mai.”
Marco Travaglio

Fonte www.beppegrillo.it