Il 9 aprile 2005 un lungo articolo a
pagina 18 del Giornale raccontava di un dibattito svoltosi
a Bologna il giorno prima. A quel dibattito fui anch’io
invitato a partecipare. La cosa evidentemente non piacque
al redattore del quotidiano che fu di Montanelli. Nell’articolo
infatti non si leggeva alcun riferimento al merito del
dibattito, ma solo una gratuita polemica verso i “nemici”
del Cavaliere, rei di alimentare il famigerato “clima
d’odio”, approfittandone anche per farsi i soldi. Mi sembrò
un esempio di quella mutazione genetica del giornalismo,
che in questi ultimi anni ha definitivamente trasformato
la gran parte degli operatori dell’informazione in velinari
e manganellatori. Ecco la lettera aperta che indirizzai
all’autore di quell’articolo. Dovetti poi insistere per
venti giorni per veder pubblicata una mia sintetica replica
nella rubrica postale del Giornale.
Caro signor Zurlo,
"la libertà di cronaca non è libertà di
diffamare". Nessuno in buona fede se la sentirebbe di
dissentire da questa dichiarazione di principio pronunciata
dall'attuale presidente del Consiglio il 6 maggio 2003,
prima che solerti ispettori aziendali fossero inviati
a Saxa Rubra a verificare la famosa accusa dell' "agguato
mediatico", rivolta ai giornalisti del tg3. Accusa rivelatasi
falsa. Proprio in quei giorni di maggio, agitati dagli
strascichi della condanna a Previti e dalla preparazione
del Lodo Schifani, le tv amplificavano a beneficio dell'intera
Nazione le rivelazioni sul presunto scandalo Telekom Serbia
del conte Igor Marini e di altri gentiluomini, poi inquisiti
per calunnia. Ufficio stampa della cricca era il Giornale.
In varie occasioni io stesso ho avuto l'onore
di sperimentare personalmente l'uso disinibito della libertà
di cronaca da parte del quotidiano fondato da Indro Montanelli
e diretto da Maurizio Belpietro. Quale passione per la
verità animi la redazione di via Negri, l'ho potuto da
ultimo verificare lo scorso 9 aprile. Quel giorno Il Giornale
pubblica a pagina 18 un ampio servizio a Sua firma, signor
Zurlo, che dà notizia (si fa per dire) di un'iniziativa
volta a sostenere la produzione indipendente di un film,
Shooting Silvio. In questo servizio lei mi definisce "il
testimonial scelto per lo Shooting Silvio Tour, ovvero
per il pellegrinaggio da una città all'altra per raggranellare
i fondi necessari a trasformare il copione in realtà".
Ancor più esplicito il sommarietto (farina del suo sacco
o merito dell'impaginatore?) che a grandi lettere recita:
"Testimonial dell'iniziativa Ricca che gridò Buffone al
premier e ora gira l'Italia a caccia di denaro".
Questo è falso, signor Zurlo. Come falsa
è la suggestion e da "clima d'odio" che Lei in quel servizio,
con zelo eccessivo, si incarica di replicare, forse confidando
nella efficacia della retorica del vittimismo. In realtà
quel progetto di cinema indipendente - che peraltro non
ha finalità di denuncia politica - fa capo a un giovane
regista, Berardo Carboni, il quale sta organizzando in
giro per l'Italia una serie di eventi a scopo di autofinanziamento.
Giovedì 8 aprile il tour è partito da Bologna, dove le
due feste in programma nel weekend sono state precedute
da un dibattito sull'informazione, al quale sono stato
invitato a partecipare in qualità di cittadino attivo
nei movimenti della società civile. Tutto qui. Nessuna
attività di testimonial, nessun pellegrinaggio, nessuna
istigazione alla violenza, nessuna (berlusconiana) caccia
di denaro.
Mi chiedo: era così difficile verificare?
O forse la sua intenzione non era quella di raccontare
la verità dei fatti, come sarebbe dovere di un giornalista,
ma di gettare un po' di discredito su uno che "apostrofa
il premier o di chi del premier tesse le lodi", come Lei
scrive. Ma quale rispetto per i propri lettori - e in
definitiva per se stesso - può avere un cronista che manipola
i fatti a proprio piacimento? Malvezzo diffuso, si dirà.
Ma può valere come giustificazione?
"Dobbiamo fare squadra, dobbiamo cantare
in coro", spiegava ai suoi dipendenti il signor Berlusconi
nei giorni epici della "discesa in campo", prima di mettere
alla porta Montanelli e trasformare Il Giornale nel megafono
di Forza Italia. Quanto abbia giovato al giornalismo e
alla politica italiani quel gioco di squadra, lo si è
visto negli anni successivi. E fu efficacemente sintetizzato
dallo stesso Montanelli il 26 marzo 2001: "L'Italia berlusconiana
è la peggiore che abbia mai visto, per volgarità e bassezza;
è davvero la feccia che risale il pozzo". Si riferiva
anche a certo squadrismo giornalistico.
Da tale degrado, tuttavia, non mi sentirei
esente io stesso, se sorvolassi - ormai assuefatto alla
volgarità e alla bassezza dei tempi - sulle menzogne che
riesco a individuare. Mi permetto dunque di invitarLa
a riflettere, signor Zurlo, almeno sulle parole del fondatore
del quotidiano sul quale Lei scrive. Ciascuno può fare
qualcosa per impedire alla feccia di risalire il pozzo.
Io ho scelto di usare la mia voce contro l'arroganza del
potere. Lei potrebbe almeno astenersi dalle gratuite insolenze
verso gli avversari politici del fratello del Suo editore.
Un cordiale saluto, da estendere anche al conte Marini.
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