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Come ti sei ridotto
Modesta proposta di sopravvivenza al declino della nazione
Curzio Maltese
2006 - Feltrinellli
Questo libro è un tentativo di rispondere alle due domande che l'autore si è sentito più spesso rivolgere in centinaia d'incontri con studenti dei licei e delle università: com'è stato possibile il berlusconismo? Come si può uscirne? Il decennio dei servi contenti del regime è stata l'ultima "autobiografia nazione" nel senso che Gobetti attribuiva al fascismo. Ma è stato anche il sintomo di un declino prima civile e poi economico, la regressione di un Paese che ha reagito all'avvento di un mondo nuovo con l'ovvietà minacciosa di una (sin troppo familiare) tentazione autarchica. L'eredità che lascia all'Italia è molto più pesante di quanto dicano le statistiche, è la condanna alla sudamericanizzazione.

 

 

C'era una volta il servo malmostoso, che odiava il padrone. Negli ultimi anni l'eterna commedia all'italiana ha partorito una nuova maschera: il servo contento, che il padrone lo adora ed è entusiasta di riverirlo. Così Curzio Maltese vede la nostra cosiddetta classe dirigente, in uno dei tanti guizzi che impreziosiscono il suo pamphlet "Come ti sei ridotto", sottotitolo "Modesta proposta di sopravvivenza al declino della nazione" (prefazione di Giorgio Bocca, pp.113, 9 euro, ed. Feltrinelli). Un libro antitaliano, dunque bello. E pieno d'amore amaro per l'Italia. Un'opera un po' montanelliana e un po' morettiana, che parla agl'italiani del dopo-Berlusconi, nella speranza che ci sia un dopo non solo a Berlusconi, ma anche al berlusconismo che rischia di sopravvivergli. Un tentativo, riuscito, di rispondere all'interrogativo che arrovellò Paolo Sylos Labini fino alla morte: "Come siamo caduti così in basso?".
Maltese parte dal nostro vizio maledetto di parlare sempre di giovani, odiandoli nel profondo: mentre si blatera dei valori della famiglia, non ci si accorge che tanta gente vorrebbe avere due figli ma, per motivi di sopravvivenza, si ferma al primo; e che i giovani "amano la famiglia al punto che si guardano bene dal farsene una", restando attaccati fino ai 30-35 anni alle sottane di mammà e ai pantaloni (con relative tasche) di papà. La scuola e l'università, o quel che ne resta, sono fabbriche di mediocrità. Il resto lo fa la tv, ovvero Berlusconi, che non è la malattia: è "uno psicofarmaco ambulante, l'antidoto all'ansia diffusa del Paese". Il virus è l'eterno guicciardinismo del "cura lo particulare tuo", dell'allergia nazionale al senso dello Stato. Pur partendo da sinistra, Maltese giunge alle conclusioni di un conservatore pessimista e disincantato come il Montanelli, che passò la vita a cercare una borghesia che avesse a cuore l'interesse pubblico. E ci morì. Quel che pensa Maltese di Berlusconi e del berlusconismo è dato quasi per scontato. Il suo libro parla all'Italia del "dopo", temendo che resti l'Italia del "durante". Così le pagine più corrosive sono quelle sulla sinistra all'italiana, che di Berlinguer ha seppellito il meglio, la questione morale, e ha salvato il peggio, cioè il compromesso storico, riuscendo per giunta a corromperlo nell'eterno inciucio: "E' un antico vezzo della sinistra voler apparire furba come i padroni". Oggi siamo ammorbati dalla figura del "berlusconiano però di sinistra, ultimo esito barocco del decadentismo intellettuale", dalla Bicamerale all'ultima spartizione della Rai. Intanto, a destra come a sinistra, s'avanza quello strano anfibio che è l'"ateo clericale", da Pera a Rutelli, molto distratto sul Padreterno ma devotissimo al cardinal Ruini, insensibile all' imitazione di Cristo ma perfetto in quella di Andreotti.
Bellissimo il capitolo su Mani Pulite, una boccata d'aria dopo dieci anni di revisionismo a cura di imputati e condannati. Maltese parla di Tangentopoli a partire dalle tangenti, facendo frusciare le mazzette che si portavano via 15-20 mila miliardi di lire dalle casse dello Stato, ma che sono totalmente scomparse dal dibattito "à la page", tutto incentrato su toghe rosse e "supplenza" dei giudici, come se i ladri e i furti fossero un optional. E' un omaggio tutt'altro che rituale alla Procura di Milano, che in quest'Italia somiglia sempre più al villaggio di Asterix nella Gallia occupata, ultimo baluardo dell'etica calvinista o forse più semplicemente -absit iniuria verbis- della Costituzione. Impietoso il confronto fra l'Italia e la Francia: là i Berlusconi li fermano da piccoli, come accadde a Gillette e a Tapie, due berluschini che avevano "sbagliato versante delle Alpi": il primo finì in manicomio, il secondo in galera.
Più volte Maltese si domanda se davvero la società civile sia più civile dei suoi rappresentanti, e ne conclude che no, non lo è: gli elettori hanno gli eletti che si meritano. Siamo, diceva Leopardi, "il popolo più cinico della Terra". E produciamo specie sempre nuove di mutanti. Come il servo contento alla Bondi, alla Vespa, alla Fede. E come i campioni dei reality show, dove "non si deve saper fare nulla, sapere nulla, basta rinunciare alla propria libertà". Flaiano, negli anni 70, aveva già capito tutto: "Fra trent'anni gli italiani non saranno come li hanno voluti i partiti, ma come li avrà fatti la televisione". E anche Fellini, che nel 1986, ai tempi di "Ginger e Fred", diceva: "Berlusconi è il cancro dei prossimi vent'anni". Il risultato è la scomparsa del talento, l'"involuzione autarchica del gusto", il trionfo del "finto bello", del fasullo, del provinciale, del mediocre. Nell'arte, nel design, nell'architettura, nell'industria. E dire che solo mezzo secolo fa l'Italia spopolava nel mondo grazie alla bellezza, all'originalità, al genio: la Vespa, la Guzzi, la Cinquecento, la Giulietta, l'Olivetti Lettera 22, la sedia Superleggera di Giò Ponti, le lampade Fontana e Castiglioni. Anche in questo senso Berlusconi è l'effetto, non la causa: le sue mirabolanti imprese televisive non hanno mai varcato la cinta daziaria, e appena si sono affacciate oltre Chiasso sono miseramente fallite (Francia e Germania) o finite in tribunale (Spagna).
Ricette miracolistiche per guarire Maltese non ne ha. Ma azzecca la diagnosi, che è già un'ottima terapia per un paese che ormai stenta anche a conoscersi. Una diagnosi montanelliana e una terapia dei piccoli passi, senza "magnifiche sorti e progressive", coi piedi per terra. Evitare le facili illusioni del "progresso" a ogni costo. Provare più modestamente a rinnovare le classi dirigenti, tagliando fuori anche i mitici "cinquantenni", troppo legati al '900 e alle ideologie di "progressismo vecchio stile".E soprattutto ripartire dal nostro migliore passato: "tornare a quel che si conosce, da dove siamo venuti, e da lì provare a cambiare". "Credere in qualcosa piuttosto che in qualcuno". Anche perché chi non crede in nulla finisce per credere a tutto.

Marco Travaglio