C'era una volta il servo
malmostoso, che odiava il padrone. Negli ultimi anni
l'eterna commedia all'italiana ha partorito una nuova
maschera: il servo contento, che il padrone lo adora
ed è entusiasta di riverirlo. Così Curzio Maltese vede
la nostra cosiddetta classe dirigente, in uno dei tanti
guizzi che impreziosiscono il suo pamphlet "Come ti
sei ridotto", sottotitolo "Modesta proposta di sopravvivenza
al declino della nazione" (prefazione di Giorgio Bocca,
pp.113, 9 euro, ed. Feltrinelli). Un libro antitaliano,
dunque bello. E pieno d'amore amaro per l'Italia. Un'opera
un po' montanelliana e un po' morettiana, che parla
agl'italiani del dopo-Berlusconi, nella speranza che
ci sia un dopo non solo a Berlusconi, ma anche al berlusconismo
che rischia di sopravvivergli. Un tentativo, riuscito,
di rispondere all'interrogativo che arrovellò Paolo
Sylos Labini fino alla morte: "Come siamo caduti così
in basso?".
Maltese parte dal nostro vizio maledetto di parlare
sempre di giovani, odiandoli nel profondo: mentre si
blatera dei valori della famiglia, non ci si accorge
che tanta gente vorrebbe avere due figli ma, per motivi
di sopravvivenza, si ferma al primo; e che i giovani
"amano la famiglia al punto che si guardano bene dal
farsene una", restando attaccati fino ai 30-35 anni
alle sottane di mammà e ai pantaloni (con relative tasche)
di papà. La scuola e l'università, o quel che ne resta,
sono fabbriche di mediocrità. Il resto lo fa la tv,
ovvero Berlusconi, che non è la malattia: è "uno psicofarmaco
ambulante, l'antidoto all'ansia diffusa del Paese".
Il virus è l'eterno guicciardinismo del "cura lo particulare
tuo", dell'allergia nazionale al senso dello Stato.
Pur partendo da sinistra, Maltese giunge alle conclusioni
di un conservatore pessimista e disincantato come il
Montanelli, che passò la vita a cercare una borghesia
che avesse a cuore l'interesse pubblico. E ci morì.
Quel che pensa Maltese di Berlusconi e del berlusconismo
è dato quasi per scontato. Il suo libro parla all'Italia
del "dopo", temendo che resti l'Italia del "durante".
Così le pagine più corrosive sono quelle sulla sinistra
all'italiana, che di Berlinguer ha seppellito il meglio,
la questione morale, e ha salvato il peggio, cioè il
compromesso storico, riuscendo per giunta a corromperlo
nell'eterno inciucio: "E' un antico vezzo della sinistra
voler apparire furba come i padroni". Oggi siamo ammorbati
dalla figura del "berlusconiano però di sinistra, ultimo
esito barocco del decadentismo intellettuale", dalla
Bicamerale all'ultima spartizione della Rai. Intanto,
a destra come a sinistra, s'avanza quello strano anfibio
che è l'"ateo clericale", da Pera a Rutelli, molto distratto
sul Padreterno ma devotissimo al cardinal Ruini, insensibile
all' imitazione di Cristo ma perfetto in quella di Andreotti.
Bellissimo il capitolo su Mani Pulite, una boccata d'aria
dopo dieci anni di revisionismo a cura di imputati e
condannati. Maltese parla di Tangentopoli a partire
dalle tangenti, facendo frusciare le mazzette che si
portavano via 15-20 mila miliardi di lire dalle casse
dello Stato, ma che sono totalmente scomparse dal dibattito
"à la page", tutto incentrato su toghe rosse e "supplenza"
dei giudici, come se i ladri e i furti fossero un optional.
E' un omaggio tutt'altro che rituale alla Procura di
Milano, che in quest'Italia somiglia sempre più al villaggio
di Asterix nella Gallia occupata, ultimo baluardo dell'etica
calvinista o forse più semplicemente -absit iniuria
verbis- della Costituzione. Impietoso il confronto fra
l'Italia e la Francia: là i Berlusconi li fermano da
piccoli, come accadde a Gillette e a Tapie, due berluschini
che avevano "sbagliato versante delle Alpi": il primo
finì in manicomio, il secondo in galera.
Più volte Maltese si domanda se davvero la società civile
sia più civile dei suoi rappresentanti, e ne conclude
che no, non lo è: gli elettori hanno gli eletti che
si meritano. Siamo, diceva Leopardi, "il popolo più
cinico della Terra". E produciamo specie sempre nuove
di mutanti. Come il servo contento alla Bondi, alla
Vespa, alla Fede. E come i campioni dei reality show,
dove "non si deve saper fare nulla, sapere nulla, basta
rinunciare alla propria libertà". Flaiano, negli anni
70, aveva già capito tutto: "Fra trent'anni gli italiani
non saranno come li hanno voluti i partiti, ma come
li avrà fatti la televisione". E anche Fellini, che
nel 1986, ai tempi di "Ginger e Fred", diceva: "Berlusconi
è il cancro dei prossimi vent'anni". Il risultato è
la scomparsa del talento, l'"involuzione autarchica
del gusto", il trionfo del "finto bello", del fasullo,
del provinciale, del mediocre. Nell'arte, nel design,
nell'architettura, nell'industria. E dire che solo mezzo
secolo fa l'Italia spopolava nel mondo grazie alla bellezza,
all'originalità, al genio: la Vespa, la Guzzi, la Cinquecento,
la Giulietta, l'Olivetti Lettera 22, la sedia Superleggera
di Giò Ponti, le lampade Fontana e Castiglioni. Anche
in questo senso Berlusconi è l'effetto, non la causa:
le sue mirabolanti imprese televisive non hanno mai
varcato la cinta daziaria, e appena si sono affacciate
oltre Chiasso sono miseramente fallite (Francia e Germania)
o finite in tribunale (Spagna).
Ricette miracolistiche per guarire Maltese non ne ha.
Ma azzecca la diagnosi, che è già un'ottima terapia
per un paese che ormai stenta anche a conoscersi. Una
diagnosi montanelliana e una terapia dei piccoli passi,
senza "magnifiche sorti e progressive", coi piedi per
terra. Evitare le facili illusioni del "progresso" a
ogni costo. Provare più modestamente a rinnovare le
classi dirigenti, tagliando fuori anche i mitici "cinquantenni",
troppo legati al '900 e alle ideologie di "progressismo
vecchio stile".E soprattutto ripartire dal nostro migliore
passato: "tornare a quel che si conosce, da dove siamo
venuti, e da lì provare a cambiare". "Credere in qualcosa
piuttosto che in qualcuno". Anche perché chi non crede
in nulla finisce per credere a tutto.
Marco
Travaglio
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