L'INCIUCIO
CONTRO L'UNITA' «COSI' CADDE COLOMBO»
di Francesco Verderami
Corriere della sera 3/12/05
Saranno certamente accusati
di partigianeria per aver scritto un libro sull'«Inciucio»,
perché già rimanda a rapporti spartitori e di potere
nella politica. Ma chi vorrà confutare la tesi di Peter
Gomez e Marco Travaglio dovrà smentire la ricostruzione
degli eventi, siccome l'architrave della loro teoria
è costruita su dati, date e circostanze. Comprese quelle
sulla battaglia attorno all'Unità diretta da Furio Colombo.
Davvero strana la storia del giornale fondato da Antonio
Gramsci, contro il quale secondo il comitato di redazione
si mossero «entità esterne», che l'ex direttore chiamava
«loro». Per «loro» - disse Colombo quando lasciò l'incarico
- «siamo stati un ingombro quotidiano per ogni possibile
compromesso che si giocava in altre stanze». Ed è proprio
per essere stati «un ingombro» che, secondo i due autori,
si scatenò l'«attacco concentrico» di Silvio Berlusconi
«e dei suoi quotidiani», insieme a un pezzo dei Ds e
di giornali amici. Era già stato singolare il modo in
cui si era svolto il funerale del giornale, ai tempi
del fallimento nel luglio del Duemila. Gomez e Travaglio
raccontano che non si vide nessuno. «Il bell'Alfio Marchini»,
ad esempio, che «nell' Unità avrebbe messo una ventina
di miliardi», per «sfilarsi poco dopo aver concluso
con la benedizione del governo D'Alema un affare mica
male»: l'acquisto a Napoli, dalla Banca d'Italia, di
cinquemila appartamenti in centro. «Prezzo stimato:
821 miliardi di lire. Prezzo pagato: 490 miliardi. Tutto
regolare si capisce».
Ma nella redazione «il
bersaglio del risentimento» era l'attuale presidente
dei Ds, ex direttore della testata, che rese visita
solo il giorno delle esequie. L' Unità «con un buco
di 200 miliardi di lire», apparteneva ancora alla Quercia,
sebbene fosse ormai «una società in liquidazione, nella
mani del professor Viktor Uckmar». Toccò a Walter Veltroni
e Pietro Folena, che stavano al Botteghino, disbrigare
la faccenda: si rivolsero a Massimo Ponzellini, «banchiere
amico di Romano Prodi, ma poi anche di Giulio Tremonti»,
perché cercasse finanziatori. Arrivarono così ad Alessandro
Dalai, «editore di sinistra e proprietario della Baldini
& Castoldi ». Grazie a lui nel giro di otto mesi il
giornale tornò in edicola, con una nuova società, la
Nie, e due «liberal» alla guida della redazione: Furio
Colombo direttore e Antonio Padellaro condirettore.
Sulle prime i vertici
DS consideravano l' Unità «una piaga purulenta di cui
liberarsi». Inizialmente D'Alema ebbe «un atteggiamento
di silenzio sospettoso». Con Colombo aveva «un rapporto
gelido», quanto a Padellaro, lui era l'autore del libro
Senza Cuore , che lo aveva «ferocemente infilzato».
Ma avvenne «il miracolo», il quotidiano prese slancio
nelle vendite, «e per i Ds divenne un problema», perché
la linea editoriale «chiuse le porte ancora aperte della
Bicamerale», divenne punto di riferimento «dei girotondi,
della Cgil di Cofferati, dei movimenti». E «lanciava
l'allarme a ogni avvisaglia di inciucio».
È questo il motivo -
secondo gli autori - che porterà allo scontro con i
Ds. Per aver criticato nel dicembre del 2002 le aperture
del centrosinistra al Polo sulla riforma della Costituzione
«da fare "insieme"», Padellaro venne criticato dal capogruppo
dei Ds al Senato Gavino Angius, «e fu particolarmente
sgradevole la coda della lettera inviata all' Unità
», perché faceva riferimento al finanziamento pubblico
che il giornale riceve.
Si ruppe la tregua,
e ripercorrendo gli eventi nel libro si arriva alla
conclusione che per colpire la direzione, «loro» decisero
di colpire Dalai, il consigliere delegato della Nie
. Lui, che pose il veto all'ingresso nell' Unità di
Luigi Crespi, «sondaggista di Berlusconi e proprietario
di Datamedia », «pochi giorni dopo venne rimosso da
consigliere delegato». Si narra che in precedenza c'era
stato «un diverbio violentissimo con Fassino». Fuori
Dalai, l' Unità venne convogliata in un'altra società,
in cui entrarono anche le coop rosse. I «registi dell'operazione»
furono Giovanni Consorte, «potente dalemiano alla guida
dell'Unipol», e Ugo Sposetti, tesoriere dei Ds. «L'operazione
- annotano maliziosi gli autori - consentì al partito
di dirottare una decina di miliardi di lire». «Non so
chi sia Consorte, né l'ho mai visto», commentò Colombo:
«E comunque la nostra linea non muterà».
Da quel momento invece
cambiò tutto, cominciò «lo stillicidio» di notizie sul
cambio di direzione. Nel libro, edito da Rizzoli, sono
ricostruiti gli scontri riservati e quelli pubblici
con i diesse e con il Cavaliere. Ogni pagina è infarcita
di riferimenti niente affatto casuali, come il paragrafo
su «la merchant bank» in ricordo dello scontro tra Travaglio
e D'Alema, dal quale il giornalista attende ancora la
querela. È un crescendo che si trascina fino alla staffetta
con Padellaro, soluzione voluta da Colombo, e non da
«loro», perché «non era quello che sognavano i normalizzatori».
«L'inciucio» racconta
insomma di un inciucio non riuscito, ma è nell'epigrafe
del capitolo l'idea che Gomez e Travaglio si sono fatti
della vicenda: «Ti inviteranno a un incontro per far
la pace. Se tu ci andrai, ti uccideranno. E chi te lo
proporrà offrendosi come garante, quello è il traditore».
È una citazione dal Padrino. .
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